mercoledì 16 novembre 2016

La fantasia è un posto dove ci piangi dentro.

Stamattina da Tuorlo c'è una strana atmosfera. Il locale è caldo come sempre, i dolci fragranti, l'aroma del caffè inebriante, eppure, si avverte come una strana tensione, sotto il velo lucente della consuetudine.
Fra il primo e il secondo caffè, mi alzo per andare in bagno. Davanti al corridoio che conduce alla toilette c'è una piccola finestra sulla cucina, un pertugio per i curiosi da dove si riesce a osservare qualche angolo di ciò che avviene fra forno e fornelli.
Alessandra sta tirando una frolla, mentre le pentole sui fuochi emanano vapori che inducono a pensare al pranzo e in forno cuociono tre teglie di pani gonfi e croccanti. Alza il viso dall'impasto giallo di tuorli e lucido di burro, accenna un sorriso verso di me. Le riesce sincero, ma poco spontaneo.
Ci salutiamo, come ogni mattina. Eppure, nonostante la gentilezza e il tentativo di abbozzare una conversazione con uno dei loro clienti abituali, la giovane cuoca mi sembra come spenta. Sicuramente, non animata dal solito entusiasmo vitale che, più di una volta, ha fatto sì che mi chiedessi come facessero questi due ragazzi a dedicare tutto il giorno, senza resa di tono o compromessi di risultati, al loro Tuorlo.
Rinuncio a dilungarmi in domande su cosa preveda il menù del giorno, passo dal bagno e, poi, torno al mio tavolo.
Sulla schermata del computer mi aspetta perentorio l'articolo che devo consegnare entro le 16, mentre, accanto alla tastiera, giace una tazza vuota di caffè.
Matteo è impegnato dietro il bancone, non mi va di disturbarlo dal tavolo. E, in fondo, qualche passo e una chiacchierata al bancone sono molto più allettanti di quella noiosa scadenza.
Così, mi alzo.
- Un altro caffè? Potevi farmi un cenno, non era necessario che interrompessi il lavoro...
Questi ragazzi mi immaginano sempre più indaffarato di quanto in realtà non sia. 
- Dovevo sgranchirmi un po'.
La conversazione si spegne lì, diversamente dal solito, quando rimaniamo a parlare di qualsiasi fatto o argomento ci offra la circostanza per delle buone mezz'ore.
Insoddisfatto e circospetto, inizio a sorseggiare il mio caffè lì, senza tornare subito al mio tavolo. Il ragazzo oltre al bancone ripiomba nel suo silenzio affaccendato, finché, dalla cucina, spunta Alessandra - per la prima volta, stamattina, noto ora, mentre solitamente il via-vai è molto più fitto.
S'avvicina in silenzio a Matteo, fa per posargli una mano sulla spalla, ma lui si discosta, di scatto. Si guardano.
- Hai bisogno? - chiede lui, cercando di suonare non troppo secco.
Lei quasi non risponde. Accenna un suono, ma poi lo chiude in un - No, niente.
Lui si volta di nuovo, fingendo di ritornare alla faccenda di prima.
Lei rimane ancora un attimo a guardarlo, con le sopracciglia dritte e un'espressione dolorante. Anche il viso di Matteo è cupo, ma lo vedo solo io.
Quanto è difficile l'amore, penso, girandomi verso la sala e dando le spalle ai passi nervosi di Alessandra che rientra in cucina e al sospiro affaticato di lui.
Ho provato spesso a immaginare la vita dei due, spiandoli nelle loro quotidianità lavorative, notando le occhiaie marcate di certe volte in cui cerchi di recuperare la vita in sospeso di notte, le occhiate dolci di alcune mattine in cui ci si sente un po' più Uno, anziché due, oppure il silenzio teso di giorni come questo, quando sei andato a dormire arrabbiato e ti sei svegliato triste, quando il peso del lavoro è niente rispetto al peso di aver ferito o deluso l'altro, il sospetto di non essere abbastanza, l'eco di parole scagliate per impulso.
Mi siedo al mio tavolo e alzo lo sguardo verso la foresta di lampadine multiformi sopra di me. Come se ognuna di loro fosse la garanzia che quei due continueranno ad amarsi. Come se tutto Tuorlo, lo fosse. Perché i progetti sono sintomo di futuro, e finché si riesca a guardare oltre nulla è perduto.
Certo, la mia pigrizia è davvero esagerata se sto ancora elucubrando sulla relazione di quei due, anziché tornare al lavoro. Soprattutto pensando che tutto sono fuorché un romantico, visto che la mia ultima relazione è durata il nanosecondo che ho impiegato a capire che tengo troppo al perimetro controllato e ordinato della mia individualità per permettere ad altri di varcarlo così a fondo. Posso fingere una sorta di deformazione professionale, nell'immaginare la trama della vita di quei due.
Mentre sono ancora immerso nei miei ragionamenti, sento Riccardo andare in cucina.
In fondo, mi spunta un sorriso a immaginare che si stiano riappacificando. O che, almeno, stiano affermando all'uno la presenza dell'altra, anche se ora non riescono a stare insieme come vorrebbero. Ché l'amore non è mai a prescindere, ma sempre nonostante. Nonostante le delusioni, la stanchezza, le aspettative, le volte in cui vorremmo l'altro migliore di noi perché noi non ce la facciamo, le volte in cui ci concediamo di cadere perché sappiamo che finalmente possiamo, nonostante i limiti e gli egoismi ancora da domare, l'amore, soprattutto, è nonostante i giorni e tutto ciò che essi comportano.